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Curiosità

Criptovalute e consumi energetici spropositati: quali rischi per l’ambiente?

È uno strumento finanziario, quello delle criptovalute, sempre più radicato e in ascesa nello scenario dell’economia globale. Le cosiddette monete virtuali prodotte da algoritmi, però, richiedono ingenti potenze di calcolo per far sì che le transazioni vadano a buon fine. Con consumi energetici elevatissimi e le conseguenze che ne derivano.

Bitcoin, la criptovaluta del nuovo millennio (Adobe Stock)

Che il mercato delle criptovalute – ossia delle monete definite virtuali in quanto prive di una forma fisica come il denaro che comunemente usiamo – sia in grande ascesa non è un mistero. Soprattutto se si parla di Bitcoin, forse la valuta più nota.

Come riportato dal divulgatore Paolo Attivissimo sul suo blog, il famosissimo “Disinformatico”, in un recente intervento si parla di crescite, nell’arco dell’ultimo anno, di 12 volte il valore iniziale del capitale investito. Proprio nel caso del Bitcoin.

Ma dietro alla diffusione del nuovo modello monetario vi sarebbe una fase delicata, una sorta di rovescio della medaglia, che non sempre si tiene in considerazione: quella della procedura di transazione e di creazione della moneta, che ha necessità di una grandissima potenza di calcolo. E quindi di sistemi che hanno un alto dispendio energetico. Spesso prodotto da sorgenti inquinanti.

Criptovalute e consumi energetici potrebbero costituire un problema per l’ambiente?

Bitcoin (Adobe Stock)

Secondo l’intervento di Paolo Attivissimo, frutto di un attento iter di dati raccolti da varie fonti, sembrerebbe di sì.

Partendo dalle valutazioni fatte dal Cambridge Centre for Alternative Finance, nel solo anno 2019 il consumo prodotto dalle attività di mining oltrepassava, con 77 terawattora, quelli di un’intera nazione. La Svizzera, in questo caso. Con un incremento odierno quasi raddoppiato e giunto a 127 terawattora.

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Un trend, in termini di consumi – come sottolinea Attivissimo – in continua ascesa. Decisa e inarrestabile e che rappresenterebbe, sempre secondo il Cambridge Center, lo 0,6% dell’utilizzo energetico mondiale. Il cui fulcro sarebbe in Cina, con un hashrate (l’unità di misura che determina la potenza di calcolo nell’elaborazione dei Bitcoin) del 65%. A seguire Stati Uniti (7,24%) e Russia (6,90%).

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E la provenienza di tutti questi consumi? Secondo le ricerche effettuate dal divulgatore, due terzi dell’energia prodotta sarebbe generata da sorgenti fossili con le conseguenze che ne derivano per l’ambiente.

Francesco Celli

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