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Covid-19, contagi all’aperto? Irrilevanti secondo alcuni studi

Secondo i numeri messi in evidenza da alcune ricerche i contagi da Covid-19 ascrivibili a contatti all’aperto sarebbero minimi, se non insignificanti, rappresentando una percentuale a bassissimo impatto nell’arco temporale della pandemia.

Covid (Adobe Stock)

Mentre siamo alle prese con una pianificazione ancora incerta delle campagne vaccinali che prevederanno l’introduzione di nuovi farmaci per l’immunizzazione, emergono ulteriori evidenze portate da ricerche effettuate su altri versanti.

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Dopo le notizie recenti su nuovi favorevoli studi sul vaccino Pfizer/BioNtech impiegato in fasce d’età fino ad oggi escluse (12-15 anni), sarebbero emerse ampie statistiche riguardo il ruolo dei contatti all’aperto nello sviluppo della pandemia iniziata ormai più di un anno fa.

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Il primo studio, più rilevante numericamente, riporta il portale Irish Times, è stato condotto dall’Health Protection Surveillance Center (HPSC) che si occupa di monitorare l’andamento dell’infezione in Irlanda.

L’impatto dei contagi all’aperto nella diffusione del Covid-19

Coronavirus (Photo by Fusion Medical Animation on Unsplash)

Secondo l’indagine dei ricercatori irlandesi, solo un caso su mille di infezione da Coronavirus sarebbe da ricondurre a contatti all’aperto. Parlando in termini più specifici solo 262 casi sui 232.164 casi registrati in Irlanda; circa lo 0,1% delle infezioni segnalate a partire dal 24 marzo 2020.

Come riporta The Irish Times, i 262 casi sarebbero ripartiti in 21 focolai avvenuti nel contesto di cantieri edili (124) e 20 focolai sviluppatisi in ambito sportivo o durante attività di fitness (131). Lo studio però fa notare come sia anche difficile determinare l’origine dei singoli cluster, che potrebbe essere avvenuta durante attività connesse ai due ambiti ma in ambienti al chiuso.

Anche alcune ricerche portate avanti in Cina hanno evidenziato risultati simili, avvalorando i numeri del monitoraggio compiuto in Irlanda. Su 1245 casi solo tre potevano essere addebitabili a contatti diretti e ravvicinati in luoghi aperti e senza fare uso della mascherina.

Sulla stessa linea anche gli esiti di uno studio condotto dall’Università della Californa che ha comparato cinque indagini in merito alle modalità di diffusione del Coronavirus riscontrando che in luoghi chiusi, come posti di lavoro o case, la probabilità di sviluppare il Covid-19 è 19 volte maggiore che all’aperto.

A ulteriore conferma della bontà dei dati, le ricerche condotte su 27 mila casi dal Professor Mike Weed dell’Università di Canterbury. Quest’ultimo ribadisce la sicurezza delle riunioni all’aperto, ma solo se accompagnate da un’adeguata gestione del rischio; con il mantenimento delle distanze di sicurezza ed evitando conversazioni ravvicinate.

Francesco Celli

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