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Facebook al centro dell’attenzione per il libro “Una brutta verità” che racconta ciò che in rete non arriva

Facebook nuovamente al centro dello scandalo, dopo la pubblicazione del libro “Una brutta verità” che fa emergere un sommerso sinistro.

Facebook ancora nei guai (foto Adobestock)

Non è tutto oro quello che luccica. Il vecchio detto è più che mai valido per tante realtà della Silicon Valley dove, dietro il paravento del digitale e del politically correct, emergono responsabilità gravi su come viene gestita l’informazione sul web.

Stavolta a scoperchiare il Vaso di Pandora sono due giornaliste del New York Times, Sheera Frenkel e Cecilia Kang, che hanno appena pubblicato, il 13 luglio, un libro inchiesta intitolato “An Ugly Truth: Inside Facebook’s Battle for Domination”. In particolare il volume tratta del ruolo del più grande social network del mondo sulla diffusione di fake news, quindi disinformazione, ma anche dell’istigazione al razzismo, all’odio e alle varie teorie complottiste.

Le due giornaliste americane non parlano di leggerezza o disattenzione verso questi delicati temi, ma di scelte ponderate in base ad interessi economici e politici. A questo si aggiunge anche un certa lentezza nel rispondere ad interventi di manipolazione esterna, come è accaduto durante le elezioni americane e il referendum per la Brexit britannica a causa delle interferenze russe.

Facebook, nonostante le sue dimensioni, soffre quindi di pressioni esterne e le sue capacità di intervento sono influenzate da interessi economici. Quale azienda privata, quest’ultimo aspetto sarebbe anche lecito, se non fosse in grado di modificare pesantemente l’opionione pubblica su diversi argomenti. Viene a mancare così l’internet neutrality sbandierata per anni, con tutta una serie di conseguenze

Il libro che accusa pesantemente Facebook

Facebook ancora nei guai (foto Adobestock)

L’inchiesta di Frenkel e Kang parte dai dissidi interni tra i reparti di Facebook e il difficile rapporto tra il fondatore e CEO Mark Zuckerberg e la direttrice operativa Sheryl Sandberg. In particolare è stato studiato il caso delle elezioni americane del 2016, che hanno portato alla presidenza Donald Trump.

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Tutto nasce dalla necessità di indirizzare meglio il news feed di Facebook, quello che ci viene mostrato quando scorriamo in basso il social network. La generazione di maggiori guadagni si è subito collegata a notizie false, che però generavano alti introiti, come le fake news su Hillary Clinton e il marito.

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La questione è stata rilevata dai tecnici e sottoposta ai responsabili, ma non furono prese iniziative perché furono giudicate regolari. In seguito fu modificato l’algoritmo, per dare priorità a contenuti creati da familiari e amici, ma il risultato fu la penalizzazione anche di siti ritenuti affidabili, come Washington Post e CNN, mentre le fake news, distribuite dai collegamenti Facebook, continuarono ad avere vita facile.

Libero Ramati

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