Quel che in molti non sanno, è che una semplice impostazione registrata in un determinato modo può realmente compromettere la nostra privacy. Nello specifico parliamo di una delle app che più utilizziamo ogni giorno: WhatsApp. L’app di IM che, più di ogni altra, mette a repentaglio la nostra privacy… ecco come tenere la situazione sotto controllo.
Un’app che, più di ogni altra, si è letteralmente infilata nelle nostre tasche, divenendo in men che non si dica una delle più popolari del pianeta. Basti pensare che, fino a poco più di dieci anni fa, WhatsApp non esisteva nemmeno. Un decennio nel quale il popolare servizio di IM si è preso lo scettro di app più utilizzata per la comunicazione quotidiana, raggiungendo numeri sbalorditivi – più di 1 miliardo di utenti in tutto il mondo.
Dunque, numeri alla mano, è bene tenere in considerazione ogni aspetto che caratterizza il servizio. Nello specifico, parliamo di privacy, uno dei termini più utilizzati negli ultimi anni e che, spesso e volentieri, viene bistrattata in favore di altre frivolezze. È fondamentale che gli utenti sappiano a cosa vanno incontro attivando o disattivando alcune funzioni, o in quale modo possano compromettere la propria privacy semplicemente utilizzando l’app come farebbero “normalmente”.
Anzitutto, il rischio più grande e che spesso figura come l’elefante nella stanza, è la circolazione di informazioni. Essendo considerata da molti la propria piccola oasi di pace e riservatezza, si tende spesso a pensare poco – o a non pensarci proprio nel peggiore dei casi – a ciò che condividiamo con i nostri contatti. Informazioni personali, dati sensibili, foto, video e chi più ne ha più ne metta. Insomma, la circolazione di informazioni sensibili è un tema che va affrontato.
Ma scendendo nel dettaglio, analizziamo tre errori comuni che gli utenti WhatsApp commettono nel loro uso quotidiano dell’app. Il primo è la classica inclusione di una persona in un gruppo, senza che quest’ultima ce l’abbia richiesto esplicitamente. Di fatto, inserirci in un gruppo espone il nostro contatto mostrando numero di telefono, foto e informazioni del profilo ad altri partecipanti dello stesso gruppo.
Il secondo esempio è la condivisione di foto di terzi senza l’autorizzazione di questi ultimi. Soprattutto i minori, spesso esposti senza alcun consenso da parte dei genitori/tutori, con la circolazione di immagini che potrebbero girare all’infuori dell’app e, più nello specifico, nella chat a cui si inviano i contenuti.
E per finire, la condivisione di screenshot contenenti testo e/o immagini delle chat private. Anche in questo caso è bene che i terzi diano il consenso prima che i contenuti della chat – di norma end-to-end – finiscano all’infuori del servizio di IM del gruppo Meta. Dunque tre piccoli stimoli su cui ragionare per dare il via ad un pensiero più profondo rispetto alla privacy e alla condivisione di dati sensibili senza il consenso degli utenti.
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