Alle origini del Covid-19: i rischi delle indagini in corso

Se il Covid-19 fosse nato in laboratorio, potremmo non saperlo mai. Ma senza prove, questa teoria sarebbe una tragedia scientifica. Ecco le due ipotesi alle origini della Pandemia.

Covid-19 indagini in Cina
L’incidenza della pandemia, dati aggiornati al 2 gennaio (by Our World In Data. Licensed under CC BY 4.0)

Due indagini sono in corso per scoprire le origini della pandemia di Covid-19 che ha congelato il mondo e mietuto oltre due milioni di vittime da circa un anno a questa parte. La prima è quella gestita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che dopo mesi di trattative con Pechino è riuscita proprio questa settimana a mandare una delegazione di dieci scienziati in Cina per investigare il virus diffusosi a partire da Wuhan.

L’altra è quella della rivista scientifica The Lancet, coordinata dal professor Peter Daszak, non a caso esperto di coronavirus che provocano sindromi respiratorie negli esseri umani e collaboratore dell’istituto di virologia di Wuhan, dove la pandemia ha avuto inizio. Il timore è che entrambe le indagini possano essere condizionate da conflitti di interesse e di opportunità. A fare il punto della situazione è Roger Pielke jr, professore di studi ambientali alla Colorado University, che dalle colonne di Wired mette in guardia dai pericoli che corrono le indagini.

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Covid-19, cause naturali o di laboratorio? Rischi e conflitti delle indagini in corso

Covid-19, il vaccino Pfizer (Adobe Stock)
Il vaccino anti Covid Pfizer (Adobe Stock)

Le ipotesi principali sono due: che il virus sia stato prodotto in laboratorio o che abbia cause naturali. Da una parte, si teme che il virus sia sfuggito di mano in un laboratorio (magari proprio Wuhan). Dall’altra che sia passato direttamente dagli animali all’uomo in un ambiente naturale. La maggior parte della comunità scientifica propende per il secondo scenario, ma visti i dati e le poche certezze a disposizione, l’ipotesi di un’origine di laboratorio non può essere esclusa.

E da qui potrebbe appunto nascere un conflitto d’interessi: gli scienziati che hanno le competenze scientifiche per vagliare questa versione della vicenda, sono proprio i membri della comunità scientifica che hanno più a che fare con i laboratori, direttamente o indirettamente. Avrebbero, cioè, non pochi problemi – anche inconsci – ad auto attribuirsi colpe. In altre parole, se davvero il virus fosse stato un leak di laboratorio, potremmo non saperlo mai.

Tanto è vero che da inizio pandemia il professor Daszak si è dichiarato certo di una causa naturale del virus. La task force da lui coordinata è composta da 12 scienziati, cinque dei quali hanno già bollato l’ipotesi di un leak del virus da laboratorio come teoria del complotto, negandone a priori la validità. Ma, avverte Pielke dalle colonne di Wired, i laboratori di virologia come quello di Wuhan studiano proprio i virus più pericolosi. Perciò eliminare sul nascere la possibilità di un incidente appare illogico come la teoria del complotto più paranoica.

D’altro canto, avverte lo stesso Daszak, se l’ipotesi del “lab-leak” si diffondesse senza prove scientifiche, potrebbe gettare l’opinione pubblica nel caos. Viste le continue e crescenti tensioni che si registrano in tutto il mondo, l’affermarsi di una teoria del genere minerebbe alla base la fiducia nelle istituzioni sanitarie e scientifiche anche più di quanto già accaduto fin qui. E in un momento storico in cui la scienza è davvero l’unica possibilità di uscita dalla crisi, sarebbe davvero un grosso rischio.

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L’unica chance di abbandonare il vicolo cieco, conclude Pielke, è che i due team che indagano le cause della pandemia abbiano il coraggio di scavalcare i conflitti di interesse e fare domande scomode alla comunità scientifica. Anche dall’esito di queste indagini dipende la nostra capacità di proteggerci da altre future pandemie.

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