Il Coronavirus negli animali potrebbe dar vita a nuove pandemie: lo studio

Tenere sott’osservazione gli animali selvatici e non, potrebbe essere molto utile nella prevenzione di nuove forme di Coronavirus

Fin da quando ha iniziato a diffondersi il coronavirus nel mondo, in molti hanno temuto che la trasmissione avvenisse dagli animali selvatici agli umani. Alcune prove dimostrano che il virus abbia avuto origine nei pipistrelli rinolofidi, con un passaggio intermedio in altri animali, prima di arrivare all’uomo. Quando la trasmissione comunitaria sarà spenta, tra diversi anni, un serbatoio di SARS-CoV-2 negli animali in libertà potrebbe diventare una fonte di nuove epidemie.

Gli animali selvatici non sono però gli unici ad essere monitorati ed è stato dimostrato che il SARS-CoV-2 può contagiare molte specie domestiche o in cattività. In questo caso gli esperti non sono preoccupati perché questi possono essere tenuti sotto controllo, a differenza di quelli in libertà. In questi mesi sono stati abbattuti molti visoni perché ritenuti fonte di epidemia.

Arinjay Banerjee, ricercatore della McMaster University in Canada, ha spiegato: “Non voglio essere allarmista, ma sembra che tutto quello che non vorremmo vedere in questo virus prima o poi si verifichi”.

In questi ultimi mesi gli scienziati hanno tentato di determinare quale sia il livello di rischio nel mondo. Si stanno effettuando esami su diversi animali in zoo, rifugi, cliniche e fattorie. Quando vengono rilevati casi positivi, si informa l’OIE (Organizzazione mondiale della sanità animale). Sono stati usati modelli computazionali e studiato animali e le loro cellule per identificare le specie più vulnerabili al contagio.

L’OIE, dal canto suo, si occupa di monitorare i focolai negli animali in base alle segnalazioni di singoli paesi e fino al 15 febbraio scorso ne sono stati segnalati 457.

I contagi negli animali, comunque, sono rari e questo per il momento rassicura alcuni ricercatori. Altri invece credono che il virus abbia avuto milioni di possibilità di passare dagli esseri umani agli animali e che quindi la moltiplicazione possa avvenire più rapidamente di quanto si possa pensare. Questo tanto che il caso dei visoni positivi, venga considerato solo “la punta dell’icerberg” da parte di Sarah Hamer, epidemiologa e veterinaria alla Texas A&M University a College Station.

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Coronavirus negli animali, i principali indiziati

All’inizio dell’epidemia, i principali sospettati erano i maiali per la capacità di incubazione e per lo stile di vita. In Cina, dove ha avuto origine la pandemia, ci sono circa 300 milioni di maiali negli allevamenti. I ricercatori però hanno dovuto ricredersi quanto hanno iniziato a infettare artificialmente maiali adulti e maialini con SARS-CoV-2, hanno scoperto che il virus si replicava poco. Questi studi suggeriscono che i maiali siano in gran parte resistenti al contagio di questo virus.

A quel punto i riflettori sono finiti sui pipistrelli: si presume che all’origine di SARS-CoV-2 ci siano stati proprio loro, insieme al pangolino, e diversi ricercatori temevano che il virus potesse diffondersi in nuove popolazioni. I risultati delle ricerche sui recettori ACE2 nelle cellule di 46 specie diverse di pipistrelli, ha rilevato che nella maggior parte dei casi erano ospiti inadatti del virus. Altri esperimenti hanno dimostrato che certe specie, come le volpi volanti (Rousettus aegyptiacus), possono essere infettate e diffondere il contagio ad altri pipistrelli.

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Il problema degli animali domestici

Grafico OIE

I ricercatori hanno focalizzato l’attenzione anche sugli animali da compagnia o, comunque, domestici. Alcuni esperimenti hanno permesso di escludere come ospiti potenziali, animali come l’arvicola rossastra, il procione, la mucca, l’anatra ed il pollo. Tutti questi pare siano resistenti al contagio.

Coloro che possono ospitare il virus e trasmetterlo sarebbero, secondo i risultati, furetti, gatti, cani procioni, cervi della Virginia ed alcuni primati come i gorilla.

In un esame eseguito su 29 furetti, tenuti come animali domestici da persone che avevano avuto il Covid-19, è stato rilevato che, pur stando in contatto le parti, i mustelidi non erano risultati positivi né per l’RNA virale né per gli anticorpi.

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