Pleistocene Park: un parco preistorico ci salverà dal surriscaldamento globale?

Ne sono convinti due ricercatori russi, per questo stanno provando a rigenerare un ecosistema estinto da anni. A che punto sono arrivati gli studi.

Mammuth
Un giorno rivedremo i mammuth? (by Adobestock)

 

Chi non ricorda Jurassic Park, la pluripremiata pellicola di Steven Spielberg che nel 1993 si portò a casa tre statuette Oscar? Quel film, basato su un romanzo di Michael Crichton, segnò gli umori di un’intera generazione. Visitare un parco preistorico difatti è il sogno segreto di molti, e da più di venti anni due scienziati russi stanno provando a ricostruirne uno senza effetti speciali e non per scopi cinematografici, ma reale e con un intento ben più nobile. Si tratta di Sergey e Nikita Zimov, che dal 1996 gestiscono il Pleistocene Park nella Siberia nord-orientale, a 5.400 chilometri da Mosca, con l’obiettivo di reintrodurre l’ecosistema glaciale di una decina di migliaia di anni fa.

I due, padre e figlio, sono fermamente convinti che rigenerando la fauna della steppa si possa metter fine al surriscaldamento globale che sta minacciando l’umanità. Sotto l’odierno deserto di tundra, erbosa in primavera ed innevata d’inverno, giace uno strato di terra perennemente ghiacciato denominato permafrost, ricco di materiale organico. Di esso si nutre una folta colonia di batteri, il problema è che con l’innalzamento delle temperature il permafrost si sta assottigliando e quei batteri rilasciano nell’atmosfera un enorme quantitativo di CO2, che sommato a quello presente sul resto del pianeta di questo passo nel 2100 raggiungerà le circa 230 tonnellate totali.

Pleistocene Park ed animali: l’idea può funzionare

Cavalli yakut
Cavalli yakut tipici della regione (by Adobestock)

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Sergey e Nikita Zimov allora hanno avuto la geniale intuizione di reintrodurre gradatamente la megafauna artica di una volta, che pian piano sta favorendo la rinascita della steppa erbosa in luogo dei muschi e dei licheni della tundra. Il passaggio e il calpestio di grandi erbivori e mammiferi sulla prateria difatti contribuisce alla concimazione e al rinnovo dei nutrienti, rimettendo in moto dinamiche naturali che, come previsto dagli esperimenti condotti, rallentano il disgelo. In parole povere l’inverno siberiano sarà più profondo: meno si scioglie il permafrost, meno batteri si risvegliano, meno si nutrono aumentando le emissioni di gas serra.

Inizialmente i due studiosi hanno preso in gestione uno spicchio di terra di circa 50 ettari nei pressi di Čerskij, in Jacuzia, e in seguito lo hanno allargato sino ai 144 km quadrati attuali con l’aiuto del governo russo, che favorì il progetto dopo la regolare registrazione della società. Il periodo preso in considerazione non è il giurassico, ma per ragioni di prossimità all’uomo il pleistocene, così le lancette dell’orologio sono state riportate indietro ad un’era geologica compresa tra i 2,5 milioni e gli 11.700 anni fa.

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A partire dal 1998 sono stati reintrodotti sul territorio i cavalli yakut, i buoi muschiati, le pecore selvatiche delle nevi e così via via renne, bisonti, linci, orsi e cervi che un tempo popolavano la regione e stanno producendo gli effetti sperati sull’ecosistema. Grande assente per il momento il mammuth, ma non si esclude che in futuro si possa de-estinguere estraendone il DNA da alcune carcasse congelate per fecondarlo tramite gli ovuli dell’elefante siberiano, il suo “parente” più stretto. Quando questo avverrà non è dato sapere anche per ragioni etiche, ma se l’esperimento andrà in porto già si ipotizza che il parco potrebbe estendersi ulteriormente nel vicino Nord-America inglobando pure l’Alaska e il Canada.

 

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