La Cina dichiara illegali tutte le transazioni in criptovalute: è crollo in Borsa

La Grande Muraglia mette fuori legge le valute virtuali e chi le lavora. Bitcoin a picco, male anche i titoli che operano con le cripto.

Bitcoin fuori legge in Cina (Adobe Stock)
Bitcoin fuori legge in Cina (Adobe Stock)

Colpo durissimo per tutti gli investitori in Bitcoin in Cina e non solo. Il paese della Grande Muraglia ha da tempo dichiarato guerra agli investimenti nelle valute virtuali, di cui il Bitcoin è l’esponente più noto e più maneggiato. Molti stabilimenti dove si pratica il mining delle criptovalute – la pratica del conio, in parole povere – sono stati chiusi con la motivazione ufficiale di un’insostenibile impronta ecologica. Ma l’ultima uscita della banca centrale di Pechino sembra chiudere del tutto la porta alla moneta concepita nel 2009 dal mitico Satoshi Nakamoto.

La principale istituzione monetaria cinese ha infatti definito illegali tutte le attività legate alla divisa digitale, annunciando una severa repressione di questo mercato e di tutte le piattaforme dove è possibile scambiare i vari bitcoin, ethereum e altre, e i loro derivati. Neanche i soggetti esteri che operano in Cina saranno risparmiati dal giro di vite annunciato dalla Banca del Popolo Cinese: tutte le transazioni di criptovalute sono illegali e tutti gli addetti ai lavori che si cimentano in questo mercato saranno denunciati. Le autorità finanziari assicurano anche di aver affinato i propri strumenti investigativi per venire a capo di eventuali violazioni.

Crollano le monete virtuali e anche i titoli del Nasdaq

Bitcoin crollo (Adobe Stock)
(Adobe Stock)

Le minacce della Banca hanno fatto crollare il mercato delle valute virtuali. Nelle ultime 24 ore , il bitcoin ha perso il 6,5%, mentre l’ethereum ha fatto segnare la perdita di 9 punti percentuali. Non è andata meglio a tutti i titoli di aziende fortemente collegate alle transazioni cripto, come CoinBase (-2%), Microstrategy (-5%), Riot Blockchain (-6%), tanto per citarne alcuni quotati sul Nasdaq, il noto listino newyorkese dedicato ai tecnologici.

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Alla base dell’intemerata contro il bitcoin e i suoi fratelli, ci sarebbe l’impatto ambientale ed energetico del mining. Senza entrare in tecnicismi, le transazioni virtuali sono protette e validate in un registro pubblico basato sulla tecnologia della blockchain. Affinché un “blocco” venga dichiarato idoneo e ufficiale, c’è bisogno di portare a termine un calcolo di elevatissima difficoltà, gestibile solo da super-computer. Sono proprio queste super-macchine, costituite da una pluralità di processori, a consumare dei livelli di energia straordinari. I sostenitori della blockchain e delle monete virtuali si difendono ricordando che il sistema bancario tradizionale inquina comunque ancora di più.

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Ciò detto, la Cina è tra i paesi con la più pesante impronta ecologica al mondo e ha come obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2060. Al di là delle considerazioni, urgenti ed opportune, di natura ambientalista, va anche ricordato che la Cina è tra le nazioni che stanno pensando di virtualizzare la valuta nazionale, tant’è vero che la Banca del Popolo Cinese ha già avviato la sperimentazione sullo Yuhan virtuale in diverse regioni del paese.

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