Digi Australia, sei BigTech firmano il codice contro le fake news

Sotto l’egida di Digi Australia, i giganti del Web 2.0 scrivono un regolamento per i contenuti creati dagli utenti che veicolano fake news.

Digi Australia codice anti fake news
Google e Twitter fra i firmatari del codice (photo by Brett Jordan on Unsplash)

È nato il Codice australiano sulla disinformazione, un documento sollecitato dal Governo australiano e ora stilato da Digital Industry Group Inc (Digi). Al nuovo regolamento, intitolato Australian Code of Practice on Disinformation and Misinformation, hanno aderito già sei BigTech operanti in Australia: Twitter, Google, Facebook, Microsoft, Redbubble, e TikTok, che si sono impegnate a contrastare l’informazione distorta presente nei contenuti creati e caricati dagli utenti.

Digi è una no-profit che rappresenta quella che potremmo definire una confidustria digitale in Australia, o almeno una sua parte. Fondata da otto piattaforme del web 2.0, Digi elenca fra i suoi membri Twitter, Google, Facebook, eBay, Verizon Media (la controllante di Yahoo e AOL), la piattaforma di crowdfunding GoFundMe, Change.org e RedBubble, marketplace per il print-on-demand. È diretta da Sunita Bose, ex capo delle politiche globali di Change.org.

Come abbiamo già detto, il codice di condotta è stato redatto su input del Governo, che nel 2019 aveva identificato svariate problematiche dell’era digitale nel documento Regulating in the Digital Age: Government Response and Implementation Roadmap for the Digital Platforms Inquiry.

Digi Australia, i principi alla base della “Carta” anti fake news

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Anche TikTok tra i firmatari del code (photo by Alexander Shatov on Unsplash)

I principi alla base della carta anti-disinformazione sono sette. Il primo è la salvaguardia della libertà di espressione, baluardo insormontabile se non in presenza di contenuti illegali. Le aziende che hanno aderito al codice sono inoltre obbligate a combattere le fake news senza contravvenire agli obblighi presi in materia di privacy degli utenti.

Un altro punto considera la lotta ai guadagni realizzati da terze parti tramite contenuti falsi o ingannevoli. Le piattaforme dovranno mettere a disposizione degli utenti degli strumenti che consentano loro di valutare l’affidabilità delle notizie; interdire account falsi che diffondono fake news; supportare la ricerca, anche accademica, a vantaggio dell’informazione credibile; agire in armonia con altre iniziative volte a garantire la diffusione di una informazione verificata e verificabile.

Quali sono le eccezioni del codice di condotta

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Sunita Bose, direttrice di Digi (image from digi.org.au)

I contenuti creati dagli utenti che non rientrano nelle competenze del codice sono i messaggi privati, le email e i servizi alle aziende. In altre parole, tutto ciò che non è condiviso in una bacheca pubblica. Non sono contemplati nemmeno i contenuti educativi, di satira o parodia, o quelli già regolati da altri codici editoriali. Escluse pure le pubblicità politiche, a patto che siano comunicate in totale trasparenza agli iscritti.

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L’adesione al documento può essere anche parziale. I firmatari hanno tre mesi per indicare quali sono i punti che intendono mettere in pratica. In più, potranno rinunciare al codice in qualsiasi momento, notificando la propria decisione a Digi. Il codice e la sua applicazione saranno rivisti entro dodici mesi. Dopo la prima review, i membri faranno il punto della situazione ogni due anni. Per capire se quelli di Facebook e i suoi fratelli saranno stati solo buoni propositi o se avranno determinato un salto di qualità nella lotta alle fake news.

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