Gli occhiali di Facebook e Ray-Ban sono un serio problema per la nostra privacy: ecco il perché

Sono stati presentati direttamente da Mark Zuckerberg, con un post da oltre un milione di visualizzazioni. A Milano, in Piazza San Babila, si è formato una fila impressionante allo store ufficiale nel giorno della loro spettacolare. I Ray-Ban Stories stanno spaccando. In tutti i sensi.

Ray Ban Stories, i nuovi occhiali con lo zampino di Facebook (Adobe Stock)
Ray Ban Stories, i nuovi occhiali con lo zampino di Facebook (Adobe Stock)

Ma anche dividendo critiche e Garante della Privacy. Gli occhiali con la telecamera riescono a coniugare stile e visibilità, sono innovativi e un prodotto da subito amato ma stringi, stringi, non differiscono poi così tanto dalle videocamere integrate già in commercio, usate anche da programmi televisivi per fare inchieste, per esempio, entrambi sono occhiali con una funzione di videoripresa.

Non è solo un problema di registrazione, ma la condivisione di quanto registrato sui social, più in generale su internet. Se n’è accorto subito il Garante della Privacy, che ha chiesto informazioni, lo scorso fine settimana, in merito al trattamento dati.

Il Garante Privacy italiano, infatti ha chiesto al suo corrispettivo irlandese (DPC- Data Protection Commission) di sollecitare Facebook per avere la risposta ad alcuni quesiti prima che gli occhiali smart arrivino in Italia. Tutto ruota attorno a una domanda, tanto semplice quanto preoccupante: i Ray Ban Stories rispettano le norme in materia di privacy?

L’indicatore luminoso che registra non basta. Il Garante vuole di più

I Ray Ban Stories già dividono: come si comporterà l'Italia in materia di privacy?
I Ray Ban Stories già dividono: come si comporterà l’Italia in materia di privacy?

Nello specifico, il Garante Italiano, in una nota ufficiale, “intende acquisire elementi ai fini di una valutazione della effettiva corrispondenza del dispositivo alle norme sulla privacy, asserendo di conoscere la base giuridica in relazione alla quale Facebook tratta i dati personali; le misure messe in atto per tutelare le persone occasionalmente riprese, in particolare i minori; gli eventuali sistemi adottati per anonimizzare i dati raccolti; le caratteristiche dell’assistente vocale collegato agli occhiali”.

Non è tanto registrare un video, rispondere alle telefonate e riprodurre musica e podcast a preoccupare, quanto più il dopo. O quel multiverso che lo stesso Zuckerberg ha manifestato di voler instaurare sui social. Le riprese che si fanno con gli occhiali figli di un’intuizione di Facebook con Ray Ban Luxottica, finiscono sull’applicazione di Facebook stesso e, in un secondo momento, se si vuole, archiviati in locale. Ed è proprio la condivisione su internet che genera dubbi, in primis al Garante della Privacy, ma non solo.

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Il costo, inoltre, non è così esorbitante: 299 dollari al cambio sono circa 235 euro, una cifra accessibile, il che significa tante persone che utilizzeranno i Ray Bay Stories, che richiedono comunque un account Facebook, sono accoppiati a un’app per smartphone (Android e iOS) e Facebook View. Dopo aver registrato i video, tanti (fino a 35 video di 30 secondi, oppure 500 foto) è possibile caricare i contenuti in modalità wireless sulla app, dove le foto sono sì criptate. Ma su Facebook View, le persone possono condividere i contenuti nei loro social network o nelle app di messaggistica.

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Il piccolo indicatore luminoso che si accende quando gli occhiali stanno registrando, avvisando le persone che sono state fotografate o filmate, non basta a far dormire sonni tranquilli, nemmeno quando si imposta l’app Facebook View, dove vengono visualizzati anche i messaggi che chiedono agli utenti di “rispettare gli altri intorno a te”. Insomma, il Garante vuole capire se questi benedetti occhiali rispettino la tanto decantata privacy.

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